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Il complesso monumentale della Basilica di Santa Cristina sorse fuori dell'area urbana, a 350 metri dal limite meridionale dell'antica Volsinii, nei pressi della necropoli paleocristiana e sul venerato sepolcro della martire concittadina. Bisogna giungere all'VIII secolo per trovare la prima menzione di un culto prestato a santa Cristina nella città di Bolsena ma, come già accennato, le testimonianze archeologiche e monumentali ci rimandano a un'epoca ben anteriore.
Nel 1115 la Chiesa di Santa Cristina venne donata dal conte Bernardo al vescovo di Orvieto, divenendo da quel momento il cuore della vita religiosa e civile di Bolsena e influenzando notevolmente anche lo sviluppo urbanistico della città. Nel corso di diciassette secoli di storia l'edificio ha subìto notevoli ampliamenti ma anche sconvolgimenti che solo in parte oggi permettono di comprendere la sua struttura primitiva.
Dismesso l'uso della necropoli paleocristiana, se ne svilupparono altre a cielo aperto in età altomedievale; nei suoi pressi sorsero ospizi per i pellegrini, chiostri per la vita comunitaria dei canonici, numerosi mulini le cui pale erano azionate da un torrente, torri e mura per la sua difesa. Ogni secolo lasciò la sua impronta a testimoniare quanto ebbero a cuore i bolsenesi quel luogo tanto caro.
Attualmente esso è composto da tre nuclei ben definiti e distinti:
- la Basilica, un edificio a tre navate con pianta a croce latina, di età medievale;
- la Cappella Nuova del Miracolo, edificata a partire dal 1693;
- la Grotta di Santa Cristina e la Catacomba (IV-V secolo).
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La caratteristica facciata della basilica evidenzia, negli accostamenti, il complesso articolarsi dell'interno.
Il prospetto della chiesa medievale è un gioiello di architettura rinascimentale, legato alla committenza del card. Giovanni de' Medici e della comunità di Bolsena, eseguita dal 1493 al 1495 dagli scultori fiorentini Francesco e Benedetto Buglioni.
Sul lato sinistro del prospetto s'innalza il campanile, forse realizzato a cavallo dei secoli XIII e XIV L'interno è una costruzione a tre navate, con pianta a croce latina e copertura a capriate. Secondo la tradizione, la costruzione, o meglio la ricostruzione di questo edificio si deve alla devozione a santa Cristina da parte di Matilde di Canossa e di papa Gregorio VII, che la consacrò il 10 maggio 1078.
Nei saggi di scavo eseguiti nel 1925, nella navata destra, si rinvennero materiali appartenenti ad un altro edificio, forse di età paleocristiana. Nella stessa navata è un crocifisso ligneo di scuola umbro-toscana del secolo XV.
Più avanti si accede alla Cappella del Santissimo Sacramento, dove è custodito un prezioso tabernacolo del secolo XV, opera di Benedetto Buglioni. Alle pareti, affreschi dello stesso secolo e del successivo. Si entra poi nella Cappella di Santa Lucia, affrescata sullo scorcio del XV secolo da Giovanni di Domenico de' Ferraris da Mondovì; sull'altare è un busto in ceramica della santa titolare, opera di Benedetto Buglioni.
Nel presbiterio l'altare maggiore è stato realizzato con frammenti marmorei del X secolo, e gli fa da pala un prezioso polittico, opera del senese Sano di Pietro, eseguito intorno alla metà del secolo XV. L'ambone è un pluteo del VI secolo.
Nella navata sinistra è la Cappella di Santa Cristina, dove si custodiscono le sue reliquie e una pregevole statua lignea di scuola senese del XV secolo.
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Sedici secoli dopo Cristina, un'altra figlia di Bolsena colse la palma del martirio: Marianna Giuliani. Nacque ad Aquila il 13 dicembre 1875 dai bolsenesi Arcangelo ed Elena Fioravanti, e ricevette il battesimo nella parrocchia di san Lorenzo in santa Margherita. Poco tempo dopo, la famiglia ritornò a Bolsena dalla città abruzzese dove il padre era stato comandato dal Comune di Bolsena.
L'ambiente familiare in cui crebbe Marianna non fu dei migliori a causa dei dissidi tra i genitori. Nel 1884 la famiglia si trasferì a Roma; Marianna e la sorella Ida, invece, rimasero a Bolsena, affidate alle cure degli zii materni, Nazzareno Fioravanti e Costantina Menichetti. Dopo pochi mesi la mamma fece ritorno, non per stare con le figlie, ma per morire consumata da un male incurabile. Per gli zii si pose allora il problema dell'educazione delle due bambine; consigliati dal cugino, padre Alessandro Paris, francescano, le fanciulle furono accolte nel neonato istituto delle Francescane Missionarie di Maria. A quattordici anni Marianna lasciò Bolsena per non farvi mai più ritorno. Non riuscì a rivedere più nemmeno gli amatissimi zii, con i quali mantenne però un intenso epistolario.
Dopo aver soggiornato nel convento di Roma, venne trasferita a quello di Châtelet in Bretagna, e poi a quello di Vanves, sempre in Francia. Nonostante l'opposizione degli zii, il 6 giugno 1892 Marianna vestì l'abito delle Francescane Missionarie di Maria prendendo il nome di Maria della Pace. Il 14 gennaio 1899 emise i voti perpetui e il 12 marzo salpò da Marsiglia alla volta della Cina. Il 4 maggio, insieme a sei consorelle, giunse nella missione cattolica di Tai-yuan-fu. Da qualche tempo la Cina era attraversata, all'epoca, da un'ondata di violenza xenofoba. Numerose sono le cause, complesse e contraddittorie. Essa si manifestava in diversi modi, ma era particolarmente diretta contro le comunità cristiane e i missionari.
Il 9 luglio 1900, nel pomeriggio, una banda armata di Boxer giudata dal governatore dello Shan-si, trascinò per le vie della città le sette suore insieme a due vescovi, tre missionari, cinque seminaristi e nove domestici, fino al tribunale governativo. Mentre i condannati venivano spinti fuori per essere massacrati, Maria della Pace intonò il Te Deum. Le 7 suore vennero messe in disparte e assistettero così, cantando, al martirio dei confratelli; poi, sollevato il velo dalla testa, offrirono il collo alla spada del carnefice. Maria della Pace venne decapitata per ultima e fino all'ultimo continuò a cantare l'inno di ringraziamento al suo Signore.
Il 10 dicembre 1926 venne introdotta la sua causa di beatificazione, mentre del 3 gennaio 1943 è il decreto di riconoscimento del martirio. Il 24 novembre 1946 Maria della Pace fu beatificata da Pio XII e il 1° ottobre 2000 è stata canonizzata da Giovanni Paolo II.
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CHIUSURA DEL 41° CONGRESSO EUCARISTICO INTERNAZIONALE
Omelia e testo del messaggio televisivo che il Papa rivolge al termine della celebrazione a Bolsena, via satellite, ai fedeli raccolti a Filadelfia, a conclusione del Congresso.
Domenica, 8 agosto 1976
OMELIA DI PAOLO VI
Venerati Fratelli
e Figli carissimi!
Noi tutti, in questo momento, siamo a Filadelfia, in America, dove si celebra, nel fervore della sua conclusione, il Congresso Eucaristico Internazionale. Bolsena è a Filadelfia. Non è soltanto un collegamento televisivo, che, per un magico prodigio della scienza e della tecnica, trasferisce la scena e la voce di questa cerimonia in quel continente lontano e in quella grandiosa assemblea; è un collegamento spirituale, ma, nel suo genere, ancor più reale, che ci fa partecipare in unità di fede, di culto, di carità a quella straordinaria celebrazione; è l’appartenenza alla medesima Chiesa cattolica, che ci riempie di meraviglia e di gaudio nella esaltazione della sua unità e della sua universalità, proprie della nostra religione cattolica, e proprie del mistero eucaristico, che ce ne dà la certezza e in qualche misura anche la spirituale esperienza. Ricordiamo le classiche parole di San Paolo, proprio relative all’Eucaristia: «Noi, pur essendo molti - scrive l’Apostolo -, siamo un corpo solo; noi tutti infatti che partecipiamo dell’unico pane» (1 Cor. 10, 17). L’unico pane, di cui ora parliamo, è Cristo, Cristo stesso, non solo rappresentato e significato, ma personalmente, realmente reso presente nel sacramento dell’Eucaristia, memoriale incruento, ma autentico, dell’unico suo sacrificio redentore.
Bolsena non dimentica, ed oggi ripresenta a noi e al mondo il miracolo compiuto nel santuario della sua santa Cristina, il quale miracolo ha ravvivato nella Chiesa d’allora e ravviva tuttora la coscienza interiore e ha perpetuato il culto esteriore, pubblico e solenne, dell’Eucaristia, del quale Orvieto e Bolsena conservano ed alimentano nel mondo l’inestinguibile fiamma.
E per quanto grande ed inesauribile sia il mistero eucaristico, e per quanto breve sia l’attimo ora riservato alla nostra riflessione, noi non possiamo tralasciare la considerazione centrale, che il Congresso Eucaristico di Filadelfia ha scelto per uniformare e moltiplicare i nostri pensieri sulmistero eucaristico.
Perché il Congresso ci presenta il mistero eucaristico, ch’è essenzialmente mistero di presenza reale di Gesù e di vero memoriale della sua Passione sotto l’aspetto esteriore di Pane e di Vino, che non è poi altro in sostanza che Cristo stesso rivestito di quella apparenza. Cristo-Pane, Cristo-Vino, perché?
Oh! quale teologia può sgorgare da così elementare questione!
Basti a noi accennare a due punti di tale dottrina. Il primo punto è quello della fame e della sete, esigenza continua, molteplice, ineludibile, che entra nella definizione dell’uomo. L’uomo è un essere che ha fame e sete. Cioè un essere insufficiente per se stesso; un essere dai continui e molteplici bisogni di nutrizione, dalla cui soddisfazione dipende la sua presente esistenza. Dall’aria per respirare, dal latte materno appena egli varca le soglie della vita, dal cibo e dalla bevanda materiali più volte al giorno, alle cento altre cose a cui tende la sua vita per costituzionale necessità, il sapere, il possedere, il godere, sempre questo essere che si chiama uomo ha necessità di avere dal di fuori di lui ciò che manca alla sua esistenza, al suo sviluppo, alla sua salute, alla sua felicità. Perciò desidera, perciò studia, perciò lavora, perciò vuole, soffre, prega, spera, aspetta; sempre è teso a qualche complemento che lo sorregga e lo faccia vivere in pienezza, e, se possibile, sempre. Questo quadro di esistenza, ch’è quello reale, di tutti, può essere riassunto in una sola emblematica espressione: l’uomo è un vivente bisognoso di pane, d’un suo pane che lo nutra, lo integri, gli allarghi e gli prolunghi la sua sempre avida e caduca esistenza. Un’esistenza tesa nello sforzo di mantenersi e di dilatarsi, ma condannata a sperimentare la propria insufficienza e caducità, e a subire alla fine una morte fatale. Non vi è in terra pane che le basti; non vi è dalla terra pane che la renda immortale.
Ed ecco allora la divina parola del Signore Gesù: «Io sono il pane della vita . . . se uno mangia di questo pane vivrà in eterno» (Io. 6, 48-51). La vita umana ha in Cristo, per chi crede alla sua Parola, il suo compimento, il suo pegno di vita immortale. Sì, Fratelli e Figli, ricordiamolo bene: Cristo è il pane della vita. E questo significa un’altra cosa, pure assai importante. È questo il secondo punto. Come il pane ordinario è proporzionato alla fame terrena, così Cristo è il pane straordinario, proporzionato alla fame straordinaria, smisurata dell’uomo, capace, smanioso anzi di aprirsi ad aspirazioni infinite (Cfr. S. AUGUSTINII Confessiones, 1, 1). Noi abbiamo spesso la tentazione di pensare che Cristo non corrisponda in realtà ai bisogni, ai desideri, ai destini dell’uomo; dell’uomo moderno specialmente, che spesso si illude d’essere nato per altro alimento superiore che non quello divino, e d’essere riuscito a saziarsi d’altre conquiste, che non quelle della fede, ovvero che sospetta essere la religione uno pseudoalimento, praticamente vacuo e vano.
No: Cristo non si copre di queste sembianze alimentari per deludere la nostra fame superiore, ma si riveste delle apparenze di cibo materiale, oltre che per farci desiderare quello spirituale, ch’è Lui stesso, per riconoscere e per rivendicare le esigenze legittime della vita naturale. È Lui, che prima di annunciare Se stesso come pane del cielo ha moltiplicato il pane della terra fino alla sazietà di coloro che per ascoltarlo lo avevano seguito in una zona disabitata, e che non avevano di che mangiare (Io. 6. 11 ss.); è Lui che ha rivolto all’umanità l’incomparabile invito: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi; ed io vi ristorerò» (Matth. 11, 28). È Lui, che non più sotto le specie di pane e di vino, ma sotto quelle d’ogni essere umano sofferente e bisognoso, svelerà all’ultimo giorno, quello del giudizio finale, che tutte le volte che noi abbiamo soccorso qualcuno, abbiamo soccorso Lui, il Cristo: «Io ho avuto fame e voi mi avete dato da mangiare; Io ho avuto sete, e voi mi avete dato da bere; ...» (Ibid. 25, 35).
Così che l’Eucaristia diventa per noi non solo il cibo per ciascuna delle nostre anime, per ciascuna delle nostre comunità cristiane; ma stimolo di carità per i fratelli d’ogni specie (ricordiamo la parabola del buon samaritano - Luc. 10, 33 ss. -): che hanno bisogno di aiuto, di comprensione, di solidarietà, caricando così l’azione del bene sociale d’un’energia, d’un idealismo, d’una speranza che, finché Cristo sarà con noi con la sua Eucaristia, non verranno meno giammai. Cristo è il pane della vita. Cristo è necessario, per ogni uomo, per ogni comunità, per ogni fatto veramente sociale, cioè fondato sull’amore e sul sacrificio di sé, per il mondo. Come il pane, Cristo è necessario!
Ed ecco il testo del messaggio televisivo che il Papa rivolge al termine della celebrazione, via satellite, ai fedeli raccolti a Filadelfia, a conclusione del Congresso.
To all of you in Philadelphia,
To you, Americans; to you, men and women from all parts of the World, assembled for the International Eucharistic Congress.
It is the Bishop of Rome who speaks to you, the Successor of the Apostle Peter, the Pope of the Catholic Church, the Vicar of Christ on earth.
He speaks to greet you, to assure you of his prayers, to have you hear in his voice the echo of Christ’s word, and thus, to some extent, to open up to you the deep meaning of the mystery that you are celebrating.
We ask you to be silent, to be silent now and to try to listen within yourselves to an inner proclamation!
The Lord is saying: “Be assured, I am with you” (Cfr. Matth. 28, 20). I am here, he is saying: because this is my Body! This is the cup of my Blood!
The “mystery of his presence” is thus enacted and celebrated: the mystery of his sacramental, but real and living presence. Jesus, the Teacher of humanity, is here; he is calling for you (Cfr. Io. 11, 28).
Yes, he is calling you, each one by name! The mystery of the Eucharist is, above all, a personal mystery: personal, because of his divine presence-the presence of Christ, the Word of God made man; personal, because the Eucharist is meant for each of us: for this reason Christ has become living bread, and is multiplied in the sacrament, in order to be accessible to every human being who receives him worthily, and who opens to him the door of faith and love.
The Eucharist is a “mystery of life!” Christ says: “He who eats this bread shall live!” (Io. 6, 51).
The Eucharist is a mystery of suffering, yes; and a mystery of death! A mystery of redemptive passion; a “mystery of sacrifice”, consummated by Christ for our salvation. It is the mystery of the Cross, reflected and commemorated in the sacrament which makes us share in the Lord’s immolation, in order to associate us in his Resurrection. Today, in time, the Eucharist is the food for our earthly pilgrimage; tomorrow, in the life to come, it will be our everlasting happiness.
The Eucharist is, therefore, a “mystery of love”. It makes all of us who eat the same bread into a single body (Cfr. 1 Cor. 10, 17), living by means of one Spirit. It makes us one family: brothers and sisters united in solidarity with one another (Cfr. Eph. 4, 16), and all of us dedicated to giving witness, in mutual love, to the fact that we really are the followers of Christ (Cfr. Io. 13, 35).
May it always be this’ way, beloved Brethren, and sons and daughters!
With our Apostolic Blessing: In the name of the Father and of the Son and of the Holy Spirit. Amen!
E così seguivano i fedeli riuniti al Congresso Internazionale Eucaristico a Filadelfia:
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Arduo a credersi, ma questa vecchia fotografia rappresenta l'interno della chiesa di Santa Cristina! La navata centrale, le colonne, l'abside... tutto appare deturpato da interventi di «folle» restauro operati a partire dal 1793 sorto l'impulso di un «modernismo», per noi oggi incomprensibile. Scrive «La Tribuna Illustrata» del 31 dicembre 1911: «La cieca ignoranza di chi avrebbe dovuto mantenere religiosamente conservate le bellezze di questo tempio nei tempi passati, fece sì che esso venisse ignobilmente deturpato».
La volontà di ristrutturare internamente la chiesa di Santa Cristina secondo canoni barocchi muoveva dal Clero, dal Magistrato e dalla Cittadinanza, essendo tutti stanchi, come afferma il Dottarelli, «di vedere dentro la collegiata tutte quelle anticaglie che la facevano parere un museo». Non piacevano le colonne che non erano tutte simmetriche: avevano forme di dimensioni diverse, alcune avevano le basi, altre no; anche i capitelli erano diversi l'uno dall'altro, scolpiti con strane figure di uomini e animali, tra intrecci di motivi ornamentali floreali. C'erano anche alcune colonne di granito rosa, residui di costruzioni romane; poi un seggio di marmo, il sarcofago istoriato con le storie di Ercole, sorretto da colonne di granito rosa e ancora il vecchio pulpito di pietra scolpita e busti, statuine, cippi e epigrafi...
Il 7 agosto 1797 il Gonfaloniere Francesco Zampi incaricò il «perito muratore" Antonio Gatti di stendere una perizia, dalla quale risultò la necessità di: guastare tutti i capitelli e, stuccandoli, portarli tutti allo stile dorico; scrostare le colonne e rifarne la stabilitura; ridurre di dimensioni quattro colonne per esigenza di simmetria con le altre; tagliare da cinque colonne le basi, di modo che tutte le colonne fossero senza base. Se una delle voci di questa perizia parla di «scrostare» tutte le colonne, ciò significa che già da qualche tempo le colonne erano intonacate, probabilmente dal 1793, anno in cui fu costruita la fragile volta della chiesa.
Nel corso degli anni era subentrato nuovamente nell'animo di tutti il desiderio di riportare l'interno della chiesa di Santa Cristina al suo antico splendore. Nei primi anni del 1900, accadde un giorno che la volta costruita in legno e canniccio intonacato incominciò a cadere, a causa della sua fragilità e di infiltrazioni d'acqua piovana penetrate dal tetto; si dovette abbatterla per evitare il peggio: apparve allora la struttura originaria della chiesa, con il caratteristico soffitto a capriate e, nella navata centrale, in alto a sinistra, comparve un affresco quattrocentesco, rappresentante San Giorgio che uccide il drago ed altri affreschi più in basso, sotto lo spesso strato di intonaco.
Fortunatamente, a quell'epoca, l'archeologo G.B. De Rossi ebbe modo di porre in rilievo l'importanza della nostra chiesa come monumento nazionale, per cui il Ministero della Pubblica Istruzione rivolse verso di essa il suo interessamento. Quando più tardi il Prevosto, monsignor Vannini, inviò una particolareggiata relazione al Ministero, questi decretò il restauro dell'interno della chiesa, affidandolo, negli anni '20 all'architetto Ignazio Gavina.
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Nei mesi estivi ESTIVI dal 1 giugno al 31 agosto, la S. Messa della sera si sposta dalle 18 alle 19 (di un ora si sposta anche rosario e vespro) e ugualmente si prolunga di un'ora l'apertura della basilica.
Resto dell'anno, da settembre a maggio, la messa della sera è alle 18, sempre da giovedì alla domenica.
(La domenica, quando finiscono le restrizioni COVID, invece delle 10 e 11:30 celebreremo NEI MESI INVERNALI di nuovo unica Messa alle 11).
Durante le celebrazioni l'accesso ai visitatori è consentito esclusivamente attraverso l'ultima porta a sinistra, che da accesso alla Cappella Nuova del Miracolo e attraverso di essa all'Altare del Miracolo e alla basilichetta ipogea intorno alla tomba della martire Cristina. (n. 8-12 dello schema sotto)
Anche in alcune altre occasioni fuori orari indicati, la basilica, in quanto chiesa parrocchiale, è riservata per le necessità della parrocchia stessa (matrimoni e la loro immediata preparazione, prime comunioni e prime confessioni della parrocchia, celebrazione delle esequie...) Anche in questi casi chiediamo gentilmente di entrare a visitare solamente l'altra parte del complesso, omettendo la basilica stessa (n.1).
I gruppi organizzati, sia parrocchiali che altri, sono pregati di prenotare la propria visita attraverso il modulo online. Per la celebrazione eucaristica invitiamo i gruppi di unirsi alle nostre celebrazioni d'orario. In alcuni casi, sopratutto i gruppi stranieri per esigenza di lingua, si può richiedere la possibilità di celebrare, solamente nei giorni feriali, alle ore 9 del mattino oppure alle ore 16 del pomeriggio.
Ricordiamo inoltre che per entrare in basilica è richiesto abbigliamento rispettoso. Chiediamo di mantenere il silenzio. Non è consentito di introdurre cani e/o altri animali, nè entrare mangiando gelati ecc.
Orari di apertura e prezzo d'ingresso della catacomba.
Entrata in catacomba è limitata ai gruppi di almeno 10 persone in base alla disponibilità degli spazi e delle guide (in questo gruppi prenotati sono certamente facilitati). Per rendere possibile la visita anche ai singoli o piccolissimi gruppi, vi invitiamo la mattina alle ore 11,30 o pomeriggio alle ore 16, sperando che l'invito viene accolto anche da altri visitatori in modo da formare insieme un gruppo che sarà possibile accompagnare.
AI TEMPI DEL COVID si entra in gruppi non superiori a 8 persone (guida escl.) Si entra ogni piena mezzora, per una visita della durata non superiore a 15 minuti (ascolto o lettura della guida si consiglia prima di entrare).